Italia, abbiamo un problema

Dal Calcio al Basket e per finire al Volley, con il quarto posto mondiale dell’Italia di Anastasi sconfitta nella “finalina” dalla Serbia di uno strepitoso Miljkovic: si chiude senza trionfi l’anno 2010 per i colori azzurri di squadra, con il comune denominatore chiamato ricambio generazionale che non c’è e mancanza di abitudine alle vittorie e alle pressioni delle grandi manifestazioni.

Negli Sport di squadra, di anno in anno, il dispendio fisico richiesto per mantenersi ad alto livello è sempre maggiore e ciò, accelerando il logorìo nei veterani, rende ancora più importante l’esigenza di inserire al più presto i giovani, in un progetto che leghi la continuità con i buoni risultati passati proiettandoli però verso un futuro retto da nuove leve.

CalcioSpagna campione del mondo, Italia a guardare le partite in tv
Da un lato, il nucleo targato Barcellona dei giovani Iniesta e Pedro, dei prodotti della cantera  Valdes, Xavi, Busquets e poi il vecchio Puyol affiancato al giovane Pique, il capitano Casillas (’81) nel pieno della propria maturità agonistica e con l’esperienza ad alti livelli di un veterano, con Villa cannoniere e il lusso di Fernando Torres, Cesc Fabregas e David Silva in panchina. Dall’altro, un cimitero di elefanti, con Cannavaro (37 anni) a comandare un vascello che imbarca acqua ancora prima di mollare gli ormeggi, in cui i primi ufficiali di sempre Gattuso, Camoranesi, Zambrotta, Buffon e Di Natale steccano e le nuove forze fresche, le braccia giovani e di qualità di Ranocchia (pur infortunato), Balotelli, Poli e Rossi vengono lasciati sulla banchina, a salutare con il fazzolettino bianco i compagni.
E ci si chiede anche se le risposte alla mancata qualità della manovra offensiva azzurra fossero da imputare al fatto che a casa, oltre ai già citati, erano rimasti anche Totti (34 anni) e Del Piero (36).

Da un lato Champions League, Liga di Spagna, vittoria europea, un inserimento ad alti livelli che parte dall’inizio e procede di anno in anno, dall’altro centrocampisti eterni giovani di Fiorentina e Sampdoria (Montolivo e Palombo), attaccanti over 30 dell’Udinese (Di Natale), centrali difensivi di Genoa e Bari (Bocchetti e Bonucci), portiere del Cagliari (Marchetti), gambe che tremano, ritmo che non c’è, compitini scolastici eseguiti male e uno spartito antiquato le cui note addormentano e conducono alla inevitabile e amara disfatta.

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Basket – Italia spettatrice dei successi altrui
Carlton Myers, Gregor Fucka e alle spalle un grande gruppo, con ottimi giocatori tirati su da giovani e lanciati sul palcoscenico continentale da Bogdan Tanjevic: erano gli Europei del ’99 e gli azzurri, guidati dal proprio leader Myers (18 punti) schiantarono in finale la Spagna per 64-56. Parte Tanjevic, arriva Recalcati e con “Charlie” anche l’argento olimpico, con capo chinato soltanto di fronte a Manu Ginobili e all’Argentina: ma i nuovi giovani non ingranano le marce e così per gli anni seguenti ci si aggrappa al totem allenatore e ai “vecchi” Basile, Bulleri, Galanda, Marconato, Mordente e Pozzecco.
Sono anni di delusioni, sconfitte, mancate qualificazioni collimate con l’interruzione – gravemente in ritardo – del rapporto con Recalcati in nome del nuovo ciclo Pianigiani inaugurato quest’anno: aspettiamo l’Italia di Bargnani (’85), Belinelli (’86) e Gallinari (’88), con accanto Maestranzi (26 anni), Mancinelli (27), Gigli (27) e una rosa di prospettiva e priva di giocatori logori o in evidente declino fisico/motivazionale.

Il progetto parte a singhiozzo, con partite condotte con autorità sino alle fasi decisive, ai momenti chiave che spesso si rivelano fondamentali per condurre in porto un successo: manca il carisma e la leadership nelle fasi finali e cediamo il passo a Lettonia e Montenegro. Il girone di ritorno, pur sontuoso e senza sconfitte, non basta e la qualificazione a Euro 2011 arriva solo grazie all’allargamento delle partecipanti, ma rimane la sensazione che la direzione intrapresa sia finalmente quella giusta.

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Volley – Delusione Fei e Vermiglio
Quarto posto per gli azzurri di Anastasi, in un Mondiale dominato una volta di più dal Brasile, giunto al PalaLottomatica in sestetto rinnovatissimo rispetto al ciclo passato 2006: fuori Andrè, Heller, Ricardinho, Gustavo e Sergio, in panchina il leader Giba, miglior giocatore del pianeta negli anni passati, dentro Bruno (’86), Lucas (’86) e squadra affidata a Vissotto, che a 27 anni ha già vinto tutto con la maglia dell’Itas Trento. E stupisce la giovane Cuba all’argento, dove Leon (17 anni) è l’uomo simbolo di una squadra per intero sotto i 30 anni e con giocatori dominanti dal punto di vista fisico e con ancora tanti anni di carriera davanti per imparare a vincere e a gestire anche mentalmente – e non solo impulsivamente – ogni partita in ogni singola fase di svolgimento.

E noi?

Rimasti sul muro del pianto di un Vermiglio (34 anni) impreciso e poco lucido nella distribuzione dei palloni e di un Fei (32) mai continuo dal punto di vista realizzativo (sempre tra il 30 e il 40%) e troppo “pachidermico” nelle movenze: pochi sprazzi nella finale per il bronzo con la Serbia mettono in mostra uno Zaytsev (22) volitivo e brillante, un Travica (24) pronto a raccogliere il posto di palleggiatore titolare e un Parodi (24) a tratti dominante. Non sorprende che della vecchia guardia si sia salvato il solo Gigi Mastrangelo, guarda caso unico tra i senatori a festeggiare un titolo (2009-2010 con Cuneo) da 4 anni a questa parte.

Mancanza di nuovi fuoriclasse? Movimento alle spalle che non sostiene adeguatamente i settori giovanili? Sindrome da appagamento nei senatori, gloriosi nel tempo che fu?
Viene difficile pensare che in ogni Sport vi siano sempre Paesi anche piccoli che producono più stelle di noi: la realtà dei fatti è che noi arriviamo sempre un passo dopo, aspettiamo a lanciare i giovani quando ormai sono già nell’età che dovrebbe essere della maturità agonistica (che in tempi odierni arriva prima rispetto al passato, tra i 25 e i 27 anni). Con l’ovvio risultato di produrre dei buoni giocatori, assolutamente in grado di fornire prestazioni dignitose, anche pienamente sufficienti, ma mai in grado di fare il salto di qualità per entrare nell’Olimpo degli Dei dello Sport.

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Manca cioè il coraggio e il tempo di fallire scientemente in nome di un progetto più importante, in nome della costruzione di un edificio che per durare negli anni a venire deve riposare necessariamente su fondamenta rese solide da altrettanti anni di esperienza alle spalle: Prandelli, Pianigiani e Anastasi possono essere gli uomini giusti per guidare il rilancio della nuova generazione, dei Balotelli, dei Santon, dei Ranocchia, dei Bargnani, dei Gallinari, dei Parodi. Ma prima di una riforma – pur senz’altro utile – dei settori giovanili (nel Calcio, il modello spagnolo con le squadre B iscritte ai campionati è senz’altro da imitare), prima di una ristrutturazione altrettanto imprescindibile di tutti gli impianti sportivi, prima di una regolamentazione precisa sui trasferimenti degli under 18, occorre ripensare la mentalità che sorregge l’intero movimento sportivo italiano e accettare anni di anonimato in nome di un progetto futuro – come fu per il Brasile nella pallavolo, come fu per la Spagna nel calcio a cavallo degli anni 2000, con il Real Madrid a vincere campionato e champions con uno straniero del calibro di Zinedine Zidane e di contro una nazionale deludente ed eterna sconfitta, come è stato recentemente per la Germania che ora domina con il proprio settore giovanile.

Tocca a noi chinare il capo, prendere coscienza che è meglio un biennio da 4 in pagella e poi un anno da 10, con vista sul futuro, che tre anni da 8 (nel migliore dei casi) senza portare a casa nulla e senza lasciare speranze per le generazioni a venire.

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